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First input delay (FID): quanto devo aspettare per interagire con il sito?

4 secondi: questo il tempo di attesa massimo

Vi è mai capitato di dimenticarvi che cosa stavate cercando in un sito perché la risposta a un vostro clic su un pulsante o su un link è stata più lunga e noiosa del previsto? Capita spesso, almeno più volte di quanto ci si potrebbe aspettare, soprattutto su dispositivi mobili, e in genere il risultato è l’abbandono di quel sito con un “a rivederci mai”. Un’esperienza soggettiva confermata da una ricerca di Cromium: l’attenzione di un utente su dispositivo mobile non supera gli 8 secondi e pone il tempo ottimale per la risposta attesa a 4 secondi.

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First Input Delay: un nuovo parametro di valutazione

Non a caso, tra i Core Web Vitals, i nuovi parametri di valutazione di un sito introdotti con l’aggiornamento di Google Page da maggio 2021, c’è Il First Input Delay che appunto misura il tempo trascorso tra la prima interazione degli utenti con una pagina, come l’interazione con un pulsante o il click su un link, e il momento esatto in cui il browser risponde all’interazione. Si tratta di una metrica focalizzata sull’utente, in quanto oltre a misurare la reattività dei siti alle sollecitazioni degli utenti, ne quantifica anche l’esperienza che gli utenti provano quando interagiscono con delle pagine web che non rispondono. Si tratta di una metrica che rischia di essere tra le più critiche, soprattutto per le versioni mobile, con conseguenze pesanti ai fini del posizionamento dei siti nei risultati di ricerca.

I Core Web Vitals, infatti, sono per Google fattori di ranking nelle serp e non tenerne conto può avere conseguenze pericolose su traffico organico e conversioni. Ma sono anche un’opportunità: recepire i cambiamenti suggeriti dall’update e migliorare quei parametri significa rendere migliore l’esperienza utente dei propri visitatori e clienti, a prescindere dalla posizione nei risultati di motori di ricerca. Diverse indagini hanno sottolineato come il ritardo di un solo decimo di secondo possa pregiudicare fino al 10% delle conversioni, mentre un secondo in più ne manda in fumo fino al 15%.  Per capirci, ecco alcuni dati riportati dal supporto Google a proposito delle performance di un sito web:

  • tempi di caricamento da 1 a 3 secondi, frequenza di rimbalzo a +32%.
  • tempi di caricamento da 1 a 6 secondi, frequenza di rimbalzo +106%.

Parliamo, quindi, del tempo espresso in millisecondi che intercorre tra la prima interazione di un utente su una pagina web e la risposta del browser a tale interazione. Tempo durante il quale aspetti come lo scorrimento o lo zoom, ad esempio, non vengono presi in considerazione. Le ragioni per il ritardo possono essere molteplici: la pagina web potrebbe essere occupata in altri lavori o il dispositivo dell’utente potrebbe essere semplicemente lento.  (First Input Delay: cos’è e come migliorare l’interattività della pagina).

First Input Delay: cosa misura e come si calcola

Prima di approfondire cosa misura esattamente il First Input Delay e come migliorare questa importante metrica, ricordiamo velocemente i 3 Core Web Vitals:

  • Largest Contentful Paint (LCP): è il fattore della velocità di caricamento e misura il tempo impiegato per il rendering del contenuto più grande, immagine o blocco di testo, nell’area visibile della pagina. L’LCP misurando le prestazioni di caricamento delle risorse nella fase più difficile per potersi ritenere buona dovrebbe rientrare nei 2,5 secondi.
  • First Input Delay (FID): è il fattore della interattività e misura la velocità di risposta del sito dal momento in cui l’utente interagisce per la prima volta con la pagina a quando viene avviata l’elaborazione della reazione da parte del browser.
  • Cumulative Layout Shifts (CLS): è il fattore della stabilità visiva e consiste nella somma di tutti i singoli spostamenti degli elementi visibili durante il caricamento della pagina non preventivati e che si manifestano dopo il caricamento dell’area di nostro interesse. Il risultato potrebbe tramutarsi in un’interazione con il vuoto o magari con un altro link.

Il FID, quindi, valuta la qualità della user experience sotto il profilo della velocità dell’interazione di una pagina. Va chiarito che, come gli altri nuovi signals questa metrica, è basata sull’esperienza reale degli utenti durante la navigazione e non è stato elaborato con l’utilizzo dei bot.

Nel dettaglio il First Input Delay calcola il tempo in millisecondi che intercorre tra un’azione dell’utente, quale per esempio un clic su un link o su un pulsante in pagina, e l’effettivo inizio dell’elaborazione della risposta da parte del browser. In sostanza, misura il ritardo della prima interazione e considera l’inizio dell’elaborazione e non il processo nel suo complesso, che sarebbe quindi inutile spacchettare in tante risposte singole per migliorare la metrica. Zoom e scorrimento sono esclusi dalla misurazione, invece, perché azioni continue che rispondono a parametri diversi.

Fonte: Google developer

Google Page Experience considera buono un ritardo della prima interazione inferiore o uguale a 100 millisecondi, cioè un decimo di secondo, e lo considera tollerabile ma da cambiare fino a 300 millisecondi. Oltre, la prestazione viene giudicata povera ai fini di una buona esperienza dell’utente.

La stessa Google suggerisce “to ensure you’re hitting this target for most of your users, a good threshold to measure is the 75th percentile of page loads, segmented across mobile and desktop devices”. Ma attenzione: il 75° percentile è quello consigliato da Google per tutte le soglie dei Core Web Vitals, ma nel caso del FID meglio spostare il margine al 95° e 99° percentile, data la variabilità di questo parametro da utente a utente. Uno spostamento verso l’alto consente di cogliere le peggiori esperienze utente, fornendo così elementi per le possibili azioni di miglioramento nell’interattività delle pagine del sito.

First Input Delay : cosa ritarda l’interazione e come è possibile rimediare

Per misurare il FID, che va ricordato è un parametro che tiene conto della reale esperienza dell’utente che interagisce con un sito, si possono usare vari tool:

  • Chrome User Experience Report:
  • PageSpeed Insights (dati sul campo e di laboratorio): adatto per lo studio delle pagine web analizzate. Nello specifico, questo strumento registra la prestazione di laboratorio e sul campo di una risorsa su dispositivi desktop e mobili.
  • JavaScript library: si tratta di codici riutilizzabili attraverso i quali vengono assegnate proprietà e funzioni specifiche di un sito web.
  • Lighthouse: si tratta di uno strumento di controllo automatizzato del sito Web che supporta gli sviluppatori per la diagnosi di problemi e per l’identificazione di eventuali opportunità per il miglioramento dell’esperienza utente. Vengono presi in considerazione aspetti anche quali la prestazione e l’accessibilità.
  • Search Console (Core Web Vitals report): utile per l’analisi di tutte le pagine di un dominio che vengono raccolti per risultati, dividendole tra mobile e desktop.

Ma che cosa può ritardare l’avvio dell’interazione? Il ritardo si verifica in generale quando il thread principale del browser è già occupato ad elaborare altro, in particolare un file JavaScript di grandi dimensioni che reclama per sé tutta l’attenzione e non lascia spazio per altro. Il browser non potrà rispondere finché il task non è stato eseguito.

Insomma, se un sito rischia di fare una cattiva prima impressione e di lasciare l’utente che sta cercando un articolo o peggio prodotti e servizi, in frustrante attesa, in gran parte è dovuto al funzionamento di JavaScript. È fatale dunque dover agire direttamente sul linguaggio di programmazione o usare altri escamotage che ne alleggeriscano le operazioni per ridurre l’occupazione del thread principale e accorciare i tempi di ritardo dalla prima interazione dell’utente.

First Input Delay: le azioni da intraprendere per contrastare il ritardo dell’interazione

Le azioni richieste non sempre sono semplici, veloci e indolori e il risultato non è detto sia scontato. Tra le azioni possibili possiamo identificare:

  • L’accorciamento dei tempi di lavoro di JS: per farlo si potrebbe limitare la quantità di JavaScript sulle pagine, riducendo così la quantità di tempo che il browser dovrebbe impiegare per eseguire il codice;
  • La minimizzazione del codice di terze parti;
  • Lo spezzettamento della task principale in tanti task minori asincrone e non in simultanea.
  • La compressione del codice di JavaScript ed eliminazione delle parti non utilizzate
  • La riduzione del numero di richieste
  • L’abbassamento delle dimensioni di trasferimento

Un’alternativa plug n’play non invasiva, che superi tutti questi problemi in un colpo solo può essere data da un layer che, interponendosi tra il server e il browser dell’utente, si fa carico di ottimizzare i tempi di risposta. Un layer con gestione della cache e delle ottimizzazioni tecniche, che non necessita di interventi sul codice sorgente, capace di migliorare significativamente le performance complessive del sito e ottimizzare tutti Core Web Vitals, anche nel caso di domini multi-country, azzerando le possibilità di errore umano nel caricamento di contenuti o nelle modifiche del codice.

Gli effetti positivi sul ranking e sull’esperienza utente sono quasi immediati. In ballo, come riporta uno studio Deloitte, ci sono l’8,4% di conversioni in più nel caso del retail da mobile e un +9,2% di valore medio degli ordini con un miglioramento delle prestazioni di appena 0,1 secondi. Perché lasciare un utente in attesa di risposta in un’interazione, insomma, non solo è scortese, ma costa anche soldi.

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